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La grande avventura, La storia di Pergioco: la fine

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di Sergio Masini
pubblicato originariamente su DM Magazine n° 27



Devo confessarlo: la primavera del 1983 mi vide poco attivo su Pergioco. Ero riuscito ad entrare nello staff del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo e mi aggiravo tra armi e uniformi con lo spirito del neofita. Capirete, un wargamer incallito come me aveva la possibilità di lavorare a tempo pieno tra oggetti e documenti autentici, non più ricostruzioni, del mondo che aveva tante volte 'giocato' sulle carte e descritto nei suoi articoli! Mi sentivo come un topo nel formaggio… e poi avevo fatto la conoscenza di un sacco di gente strana, ancora più 'schizzata' dei wargamer e dei giocatori di ruolo: gli uniformologi, genìa di fanatici dei regolamenti militari e del diametro dei bottoni delle uniformi, e gli oplologi (dal greco oplon che vuol dire arma, insomma quelli che si occupano di storia delle armi e sanno distinguere tra loro tutti i modelli di fucili austriaci a percussione costruiti tra il 1840 e il 1866...).

Del resto, la rivista andava bene e non mi sollecitava più di tanto. Per scrivere di giochi di simulazione occorreva sempre più tempo e magari anche una sorta di 'professionalità', nel senso che i giochi diventavano sempre più complicati: erano arrivati in Italia, con un po’ di ritardo, i monster games, giochi con regolamenti lunghissimi e super-particolareggiati, centinaia di pedine e mappe a non finire e furoreggiava Squad Leader, il super-tattico con ogni pedina equivalente ad un soldato, un’arma di reparto o un mezzo militare. Di lì a pochi anni (ma ormai Pergioco aveva chiuso) sarebbe arrivato, come molti sanno, Advanced Squad Leader, la versione aggiornata e ancor più minuziosa. Insomma, i giochi di simulazione erano diventati una religione, e io con le religioni mi sono sempre trovato un po’ a disagio…

Mi svegliai dal mio sonno quando, grazie all’insistenza della redazione di Milano, mi dedicai ad una proposta di gioco, con un lungo articolo sull’assedio di Torino del 1706, condotto da truppe franco – spagnole contro la capitale piemontese, allora interamente fortificata, con una guarnigione comandata… da un generale austriaco! E le truppe di soccorso, guidate da Vittorio Amedeo II di Savoia (allora era soltanto duca, divenne re alla fine della guerra) erano per la maggior parte austriache, comandate da Eugenio (altro principe Savoia) e prussiane! Un soggetto davvero curioso, per ritornare in campo. Non lo sapevo, ma proprio in quel tempo stavano cominciando le vere difficoltà.

Intendiamoci, dal punto di vista della credibilità Pergioco era diventato il punto di riferimento fisso di tanti appassionati; ospitava pagine e pagine di vita associativa, recensioni, articoli sempre nuovi e interessanti. Però il pubblico, soprattutto quello più giovane, cominciava ad orientarsi verso i videogiochi, mentre i giochi di ruolo si disperdevano in una galassia di piccoli gruppi, difficili da raccordare. Col senno di poi, forse avremmo dovuto scommettere di più su questo settore e ospitare scenari, dare suggerimenti sulla realizzazione delle miniature, promuovere e propagandare le varie iniziative. Soprattutto, avremmo dovuto avere una migliore distribuzione in edicola. Il problema vero, infatti, era che spesso e volentieri i distributori non ci davano spazio a sufficienza. Trovare la rivista diventava sempre più difficile e non si riusciva a sviluppare abbastanza il servizio abbonamenti. Pergioco, in realtà, soffriva della mancanza di un editore forte, in grado di investire sull’iniziativa e cercare risultati. Stava tramontando definitivamente l’epoca delle pubblicazioni 'di nicchia' in grado di approdare alla grande distribuzione solo in virtù della loro qualità e della loro novità. Lo spazio fisico si andava riducendo, e in mancanza di pubblicità adeguata si cominciava a stampare in perdita.

Così divennero sempre più frequenti i numeri doppi, a cominciare da quello di luglio/agosto 1983: un bel numero che dava ancora più spazio alle associazioni (per breve tempo, anche l’ARCI) per non parlare del numero di settembre (ove scrissi un altro articolo - proposta di gioco sulla battaglia del Volturno) e dove la parte 'enciclopedia' era ancora molto forte (si parlava del gioco nell’antica Roma). Insomma, la rivista non rinunciava al suo carattere culturale alto pur in un’epoca di grandi contrasti e grandi appiattimenti: furoreggiavano da tempo i 'giochini' elettronici (quelle infernali macchinette in grado di stare in mano ai bambini, basate solo sulla sveltezza di riflessi, perfetti strumenti di rimbambimento) e si andava affermando una visione del mondo più consumistica e banale, nella quale il gioco fine a se stesso, come pura attività della mente, aveva sempre meno spazio. Questo non eravamo disposti ad accettarlo, e probabilmente avevamo anche un pubblico pronto a sostenerci; gente che, se raggiunta nei modi più opportuni, forse ci avrebbe appoggiato. Sono, naturalmente, tutti ragionamenti col senno di poi. Pergioco era partita con una formula e non intendeva rinunciarvi: si rassegnò solo ad adattamenti come il supplemento dedicato ai videogiochi, col rischio di parlare di prodotti che occupavano la scena per pochi mesi, o poche settimane, ed erano già superati quando ne appariva la recensione.

Cercammo di ampliare lo spazio delle inchieste: a ottobre uscì un’approfondita ricerca sul gioco di simulazione in Italia, insieme ad un boardgame classico ma semplice, dedicato alla battaglia di Waterloo e a novembre/dicembre (pessimo segnale, un altro numero doppio!) un’altra ricerca sul rapporto tra gioco e cinema. Nel frattempo avevamo anche cambiato direttore, affidandoci ad Elena Sutti, il cui marito, Disma Sutti (purtroppo scomparso qualche anno fa) era un eccellente giornalista, collaboratore di grandi testate nazionali e riviste specializzate, sostenute, però, da importanti categorie professionali. Questa era la grande differenza che Disma, pur deciso a darci una mano, non riuscì a sormontare: i 'giocattolai', come chiamavamo, con una certa sufficienza e un po’ di puzza sotto il naso i produttori di giochi in Italia, non erano una categoria forte e culturalmente attrezzata. In parole povere, nessuno di loro era disposto a sostenere finanziariamente una rivista che non voleva essere solo una vetrina dei loro prodotti, ma anzi pretendeva di esercitare la propria critica non dico parlando male di questo o quel gioco, ma anche soltanto evitando di parlare dei giochi decisamente brutti o mal riusciti. Uno spirito di indipendenza che pagammo caro, non c’è dubbio.


Lo si vide con la recensione di Mafia (celeberrimo titolo dell'International Team N.d.R.) un gioco discusso e discutibile, divertente ma tutto sommato troppo sgradevole per il pubblico e un pochino anche per noi (forse avremmo fatto meglio, dati i tempi, a recensire Grass, gioco dedicato allo spaccio dell’'erba', ossia della marijuana). Era una provocazione parlare di un gioco simile, ma non funzionò. Tanto che il numero di marzo 1984 – un numero bellissimo che nemmeno io possiedo, tanto male andò la distribuzione – non riuscì neppure a farsi vedere in giro. Eppure c’erano tante cose: si parlava di trenini, musica e gioco, ancora computer (persino dell’ultimo nato in casa Sinclair: ci stavamo affezionando ai perdenti?) e i soliti scacchi, recensioni, inserto 'carta e matita'.

Tentammo altre strade. Per il numero di aprile riuscii persino ad 'agganciare' un politico, il carissimo amico onorevole Oscar Mammì, del partito repubblicano, 'romano de Roma', gran fumatore di pipa e gran giocatore di scopone scientifico. Mi concesse un’intervista dove parlavamo del gioco, naturalmente dello scopone e di come ci giocava bene e con rabbiosa passione un altro grande della prima repubblica, Ugo La Malfa. A rileggerla ora, quell’intervista ha il sapore di un mondo che non c’è più, dove i politici giravano per la strada senza scorta e potevano avere gusti semplici, da persone normali. Nello stesso numero cercammo un aggancio con i 'soldatinari', ovvero i modellisti di figurini militari, parlando di una strepitosa mostra svoltasi a Firenze presso la Ludoteca (attenzione, mica una ludoteca qualunque, si trovava all’interno del quattrocentesco Ospedale degli Innocenti, ora praticamente ha cessato di esistere). Animatore dell’iniziativa, il poliedrico Ugo Barlozzetti, storico dell’arte, storico militare, modellista favoloso, recente autore di una stupenda Storia illustrata delle armi bianche (vabbé, non dovrei fare pubblicità, ma è amico mio e il libro è davvero bello, compratelo!). L’idea era di allargarci ad un mondo che fino a quel momento Pergioco aveva solo sfiorato, ma che io avevo conosciuto meglio grazie anche alle mie frequentazioni di Castel Sant’Angelo: il mondo dei wargamer tridimensionali e dei modellisti militari. Poteva essere un nuovo filone, ed un mercato potenziale vastissimo. Non avevano una rivista di riferimento, tranne le solite inglesi e americane. Chissà…

Purtroppo il tempo di Pergioco stava ormai scadendo. Tentammo anche di farci assorbire dall’editrice Olimpia, quella di Diana Armi, e le trattative arrivarono a buon punto. A maggio/giugno (ahi, altro numero doppio!) scoprimmo Kata Kumbas, il primo autentico gioco di ruolo italiano, inventato dal mai abbastanza compianto Agostino Carocci e da Massimo Senzacqua, pubblicato proprio in quell’anno dalla Orion Edizioni e distribuito dalla Bero Toys. Era un gioco splendido, ambientato nella fantastica terra di Laitia (anagramma di Italia) ed aveva anche il pregio di una buona dose di auto – umorismo. Chi ne vuol sapere di più, legga la bella voce che gli ha dedicato Wikipedia su http://it.wikipedia.org/wiki/Kata_Kumbas. Per me fu l’occasione per conoscere Agostino, collezionista fanatico di giochi, organizzatore di convention e persino di mostre del gioco: una riuscì addirittura a collocarla nel Palazzo dei Congressi di Roma e questo la dice lunga sulla sua abilità e sulle sue capacità di persuasione. Con lui, in quella che fu una delle prime “Estati romane”, volute dal mitico assessore alla Cultura Renato Nicolini, organizzammo sia una presentazione diKata Kumbas, sia una 'telecronaca' della battaglia di Waterloo condotta con telecamere che riprendevano in diretta quattro partite di quattro diversi giochi di simulazione, condotti da altrettanti gruppi di giocatori ma tutti dedicati al celebre episodio storico. La gente passava e si fermava a guardare lo schermo, le mappe costellate di pedine e i giocatori che tiravano i dadi per simulare cariche di cavalleria, aggiramenti, tiri di artiglieria che spazzavano via interi battaglioni; il tutto accompagnato da 'cronisti' (compreso il sottoscritto) che, microfono alla mano, si aggiravano per i 'campi di battaglia' intervistando i generali, i giocatori, e descrivendo le cruente scene di guerra (rappresentate da pedine che venivano tolte dalla mappa a mano a mano che venivano distrutte dal 'fuoco' nemico).

Il pubblico c’era ancora, l’interesse dei media si poteva stimolare, gli inventori di giochi proliferavano! Potevamo farcela… e invece la distribuzione aveva proprio deciso di sopprimerci. A luglio lanciammo persino un concorso con la Valtur: peccato che le riviste non arrivarono nemmeno nei centri vacanze e nessuno se ne accorse. Restarono sui bancali, destinate al macero... (una pugnalata per tutti i collezionisti N.d.R.). L’ultimo numero di agosto/settembre recava sulla copertina la foto di due mongolfiere che si alzavano in volo. La foto era come sempre bellissima (a proposito, al link http://www.nand.it/pergioco/index.html potete trovare la collezione completa delle copertine). Era però anche una foto simbolica: come se Pergioco, alla maniera di un personaggio di Edgar Allan Poe, Pundita, si alzasse in cielo per viaggiare eternamente sul pallone aerostatico della fantasia, perché la terra si era dimostrata un ambiente troppo ostile...

Ognuno di noi scelse altre strade, ma tutti abbiamo continuato, in un modo o nell’altro, da collezionisti, appassionati ostinati, organizzatori di eventi e persino creatori, ad occuparci di giochi. Ci sono stati altri tentativi: ad uno, “Ciao90” ho persino collaborato. Nessuno, però, è riuscito a raggiungere la versatilità, la vastità di interessi e campi toccati da Pergioco nei suoi diversi numeri. Però il gioco è rimasto e anzi, in questi ultimi anni, si è tornato a giocare bene e seriamente. Alcuni di noi hanno i capelli bianchi ma ci sono anche tanti giovani. Spesso abbiamo 'contagiato' i nostri figli che sono diventati anche più bravi di noi. Chissà, forse un giorno la vostra edicola sotto casa potrebbe ospitare il numero 49 – mai uscito – della vecchia Pergioco o magari un numero zero di qualcosa di simile, destinato a raccogliere intorno a sé tutti i giocatori, di oggi e di ieri. Venticinque anni sono già passati dall’uscita del 48° numero. Spero proprio che si possa fare qualcosa prima del trentesimo anniversario...

 Nel frattempo, scusatemi se qualche volta mi sono fatto prendere dalla commozione e dalla prolissità, e non ho dato il giusto risalto a fatti e persone. Succede, a noi 'vecchi'…


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