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Un giovanissimo Marco Passarello al lavoro sulla traduzione! |
Nella ricerca delle remote radici del gioco di ruolo in Italia abbiamo avuto il piacere di incontrare Marco Passarello, la persona che è responsabile della traduzione apocrifa di Dungeons & Dragons Set 1 – Regole Base venduta da I Giochi dei Grandi tra il 1984 e il 1985 (rigorosamente allegata alla scatola originale TSR). Grazie a Marco per la disponibilità e al poliedrico Andrea Angiolino per l’indispensabile collaborazione.
Buongiorno Marco e grazie per la gentilezza nell’accettare di rispondere alle nostre domande. Cominciamo con una piccola presentazione: età, studi, professione e hobby: ad esempio, il gioco ‘hobbistico’ e il gioco di ruolo ti interessano ancora?
Ho 55 anni. Dopo aver frequentato il liceo classico a Bolzano, mi laureai in ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano, con una tesi di laurea sulla meccanica dei satelliti a filo. La mia relatrice fu la professoressa Finzi, che recentemente è diventata piuttosto nota al pubblico grazie alla missione Cassini. Non sono stato però uno studente brillante: mi laureai molto in ritardo e non riuscii a trovare lavoro nel mio campo di studi. Già mentre studiavo, però, avevo cominciato a lavorare come traduttore per l’editoriale Jackson, che pubblicava riviste tecniche, e dopo la laurea mi fu offerto un posto in una redazione. Doveva essere una cosa provvisoria, invece proseguii con il giornalismo, una carriera che dopo varie testate e collaborazioni è approdata quattro anni fa, tramite concorso, alla RAI e alla redazione della TGR di Bolzano, dove sono tornato dopo un trentennio a Milano. Fino a qualche tempo fa ho comunque proseguito anche l’attività di traduttore, traducendo anche alcuni romanzi in tandem con mia moglie, Silvia Castoldi (per esempio la trilogia di Virga di Karl Schroeder, pubblicata da Zona 42).
L’hobby dei giochi ce l’ho praticamente da sempre. Quando ero alle medie gli altri ragazzini del condominio, quando ricevevano in regalo un gioco da tavolo, lo portavano subito a me e mi chiedevano di studiare le regole e poi spiegarle a tutti gli altri, perché loro non avevano la pazienza di farlo. Ho avuto “periodi” di interesse per ogni tipo di gioco, ma il gioco di ruolo è decisamente quello che mi ha coinvolto più a lungo. Finché sono rimasto a Milano, cioè fino ai 50 anni, avevo un gruppo che si incontrava regolarmente ogni settimana per giocare, soprattutto a giochi della White Wolf come Mage – the Ascension o Vampire – the Masquerade. Da quando sono tornato a Bolzano, purtroppo, non sono ancora riuscito a mettere insieme un gruppo dedicato ai giochi di ruolo, ma ancora non ho smesso di provarci. In ogni caso continuo a interessarmi ai giochi. Durante il lockdown ho addirittura convinto mia moglie a passare le serate facendo qualche partita a wargame non troppo complicati, tipo Spartacus Imperator, cosa che in tanti anni non mi era mai riuscita!
Un altro hobby è quello della fantascienza: la leggo, la guardo, la scrivo, e me ne sono occupato anche a livello professionale, come traduttore, editor, recensore, curatore. Alla fine del 2019 è uscito un progetto a cui tenevo moltissimo: Fanta-Scienza, un’antologia di racconti di fantascienza scritti dialogando con gli scienziati dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dove sono curatore e autore di uno dei racconti. Ha richiesto un grande impegno e ne sono molto orgoglioso.
Come e dove hai scoperto il gioco di ruolo e in particolare Dungeons & Dragons?
Scoprii Dungeons & Dragons prestissimo. Ero in seconda o terza media, quindi eravamo intorno al 1978, non molti anni dopo l’uscita della prima edizione del gioco negli USA.
Credo che per chi è giovane oggi sia difficile immaginare come andavano le cose a quei tempi. Oggi si è abituati a sapere immediatamente attraverso Internet quando un prodotto esce negli USA, ad avere a disposizione tutte le informazioni, le fotografie e le recensioni, nonché ad avere la possibilità di acquistarlo e riceverlo nel giro di qualche giorno. Allora invece gli USA erano un altro mondo, era difficilissimo non solo procurarsi i prodotti di laggiù, ma anche solo venire a sapere della loro esistenza.
Io scoprii D&D tramite un compagno di classe che ogni tanto andava in visita da parenti a Torino, e in una di quelle occasioni conobbe il gioco, credo tramite persone che l’avevano acquistato grazie a una delle prime importazioni di “Città del Sole” (la prima catena italiana a trattare giochi 'hobbistici' N.d.R.). Il mio primo contatto col gioco fu, per così dire, indiretto: il mio amico aveva tradotto e copiato a mano le regole principali su un quadernetto! Passò molto tempo prima che vedessi una versione “vera” del gioco: per anni andammo avanti con le fotocopie dei libri di Advanced D&D che lui si procurava quando andava a Torino, dato che i libri importati avevano costi improponibili per le nostre finanze di ragazzini. L’unica cosa che comprammo furono i dadi. Il che spiega anche perché accettai di fare la traduzione: volevo farla finita con le fotocopie e procurarmi dei manuali veri!
Quale era la scena ludica nella prima metà degli anni ’80? Frequentavi qualche negozio specializzato?
Ahimè, assolutamente no! Il mio problema a Bolzano era che nessuno condivideva il mio hobby. Il negozio specializzato più vicino era appunto quello di Nando Ferrari, “I Giochi dei Grandi” di Verona, a 150 chilometri. Quasi nessuno a Bolzano sapeva cosa fosse un gioco di ruolo. Per giunta a scuola si studiava solo il tedesco, e nessun ragazzino sapeva l’inglese. Fino a quando mi sono trasferito a Milano per gli studi universitari, alla fine del 1985, le mie campagne di gioco di ruolo avevano un numero di giocatori molto ridotto, spesso giocavo addirittura con un solo giocatore oltre al master.
Come sei finito a fare la traduzione delle regole base di Dungeons & Dragons per conto de I Giochi dei Grandi, un’opera che si legge nel loro Catalogo 1984/1985 era di ben centosessanta pagine? Fosti tu ad offrirti o fu Nando Ferrari ad offrirti l’impegnativo incarico?
Tutt’altro! Le cose andarono in un modo che visto oggi appare davvero assurdo. A quasi 40 anni di distanza non sono certo di ricordare ogni dettaglio in modo corretto, ma penso che Nando Ferrari avesse chiesto ai ragazzi che frequentavano il suo negozio di Verona se qualcuno era disposto a fare la traduzione (in cambio, si badi bene, non di denaro contante ma di un buono da spendere in giochi). Uno di loro si propose, ma poi si rese conto di non essere in grado di fare tutto il lavoro, per cui si rivolse a mio cugino, che stava a Treviso, per subappaltargliene una parte. A sua volta mio cugino si rivolse a me. Poi ci furono infinite discussioni su come dividersi il lavoro e il guadagno. Alla fine il lavoro fu svolto da me, interamente o comunque per la maggior parte. Eravamo tutti minorenni, ma io ero il più anziano, e quindi quello che riusciva a dedicarsi al lavoro con maggiore costanza, anche se credo di essere arrivato in ritardo sul termine previsto. Ero comunque piuttosto sprovveduto. Ricordo che Nando Ferrari si irritò parecchio perché avevo battuto a macchina parte della traduzione su carta a quadretti. Non avevo minimamente pensato che lui avrebbe dovuto fotocopiarla e la cosa non avrebbe fatto una buona impressione (in effetti nello stesso catalogo Nando Ferrari scrisse che la traduzione avrebbe dovuto essere ribattuta, ora sappiamo il perché! N.d.R.)!
A ripensarci, è veramente una cosa enorme che mi fossi preso quell’incarico, soprattutto considerando una cosa: non avevo MAI studiato l’inglese. A Bolzano, come ho detto, si studiava il tedesco. Frequentando il liceo classico, traducevo abitualmente dal latino e dal greco antico, ma tutto l’inglese che conoscevo mi veniva dai videogiochi, dai testi dei Genesis e, per la maggior parte, proprio dal costante sforzo di capire cosa ci fosse scritto nei manuali di D&D. Alla fine, dopo quattro anni a sfogliare i regolamenti ogni santo giorno, avevo appreso la lingua in maniera sicuramente non perfetta, ma comunque credo migliore di quanto avrei ottenuto dalle lezioni scolastiche.
Col senno di poi, quell’impegno assunto a cuor leggero ebbe un’importanza spropositata nella mia vita. Dimostrò a me stesso che ero in grado di tradurre un testo in inglese e fare un lavoro accettabile, nonostante nessuno mi avesse preparato per questo. Tre anni dopo vidi su un muro del Politecnico un annuncio che cercava uno studente di ingegneria per fare traduzioni tecniche, e mi feci avanti. Senza quella precedente esperienza non mi sarei mai proposto. E da lì è partita tutta la catena di eventi che mi ha portato a diventare giornalista. È buffo pensare che all’epoca i miei genitori vedevano il mio divorante interesse per D&D come un influsso negativo che mi distoglieva da cose importanti come lo studio. Né io né loro ci rendevamo conto che attraverso il gioco di ruolo stavo creando le basi per il mio futuro.
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Marco Passarello presenta il libro Fanta-Scienza |
Quale fu la principale sfida che dovresti affrontare nel lavoro di traduzione, a parte naturalmente la mole di lavoro? Hai qualche aneddoto da raccontare?
Direi che la difficoltà principale era che non esisteva un gergo consolidato da cui partire. Non c’era ancora Internet, non c’erano riviste dedicate, e ogni gruppo di gioco aveva le proprie abitudini. Io, poi, stando in una cittadina come Bolzano, avevo pochissimi contatti con gli altri giocatori. La cosa che mi creò maggiori difficoltà, quindi, fu proprio la terminologia di base. Per esempio, “cleric”. La traduzione che si usa oggi è “chierico”, che però a me non è mai piaciuta, mi fa pensare troppo alla chiesa cattolica. Nelle mie campagne preferivo usare “sacerdote”, che a mio avviso si adattava meglio a un adoratore di Thor o di Marte.
Le parti che mi fecero soffrire di più furono la piccola avventura in stile librogame e gli altri esempi di gioco: erano scritti in un inglese non particolarmente difficile, ma comunque molto più ricco di sfumature rispetto allo stile “da manuale” del resto del regolamento. Dopo tanto tempo ricordo ancora che rimasi indeciso fino all’ultimo su come tradurre la frase “BEGONE, vile things!” che la sacerdotessa pronuncia per scacciare i non morti.
Quale fu la risposta dei giocatori di allora alla tua traduzione? Ricevesti molti complimenti e/o critiche?
Al contrario, non ricevetti alcun commento positivo o negativo, semplicemente perché mi trovavo fuori dal giro dei clienti di Nando Ferrari. Poi solo due anni dopo uscì la traduzione ufficiale italiana, e quindi immagino che la mia non venisse più diffusa, e non ne sentii più parlare. Devo dire che per un po’ ho avuto anche paura a chiedere in giro: nel frattempo avevo cominciato a fare il traduttore sul serio, il mio inglese era rapidamente migliorato, e temevo di scoprire che la mia traduzione si era fatta una pessima fama. Solo moltissimo tempo dopo, due anni fa, chiacchierando con una persona incontrata per caso sull’autobus in occasione di Modena Play, venne fuori che ricordava la mia traduzione e reagì quasi come se avesse incontrato Gary Gygax in persona! Da allora mi è venuta la curiosità di rivedere la traduzione, cosa che ho potuto fare solo grazie a voi.
Qualcosa del tuo lavoro di traduzione finì anche nell’edizione italiana ufficiale del 1985, curata da Giovanni Ingellis?
Possiedo una copia di quella edizione, perché la vinsi, se non ricordo male, come premio in un torneo di Othello a Milano (anche se non credo di averla mai usata, perché allora giocavo già l’Advanced D&D e la scatola rossa mi sembrava roba troppo semplice). Comunque, anche se non posso escludere che qualche termine sia passato da una traduzione all’altra, mi sembra che il lavoro di Ingellis sia stato sostanzialmente indipendente.
Grazie per il tuo tempo!
Grazie a voi per avermi fatto rivivere quel periodo!
Fotografie cortesemente fornite da Marco Passarello